La percezione cromatica e i test diagnostici

Marco Meneghini
Fisico, ortottista e contattologo
10 minuti
La percezione dei colori arricchisce enormemente di dettagli ciò che osserviamo ma a volte può funzionare in modo anomalo. Scopriamo il processo psicofisico di visione dei colori, le cause dei deficit percettivi e i test specifici.
Sommario

    La visione dei colori

    La retina umana possiede due tipi fondamentali di fotorecettori: coni e bastoncelli. Entrambi contengono dei pigmenti (ionopsina i primi, rodopsina i secondi) che li rendono sensibili alla luce, ma sono i coni i fotorecettori prevalentemente deputati alla visione dei colori.

    I coni si suddividono in 3 sottotipi, distinti a seconda del pigmento contenuto, che determina la capacità di assorbire più o meno efficacemente la radiazione luminosa a seconda delle sue differenti lunghezze d’onda (v. Figura 1):

    • coni di tipo S (short), contenenti cianopsina, meno numerosi degli altri (circa il 7% del totale) e assenti nella fovea centrale (l’area della retina con la maggiore acutezza visiva), presentano un picco di assorbimento intorno alla lunghezza d’onda di 430 nm;
    • coni di tipo M (medium), contenenti cloropsina e numericamente più numerosi, hanno un picco di assorbimento intorno ai 540 nm;
    • coni di tipo L (long), contenenti eritropsina, mostrano un picco di assorbimento intorno ai 570 nm.
    Figura 1: curve normalizzate di risposta dei coni alle lunghezze d'onda dello spettro visibile
    Figura 1: curve normalizzate di risposta dei coni alle lunghezze d’onda dello spettro visibile
    Immagine tratta da Mysore, Aprameya & Velten, Andreas & Eliceiri, Kevin. (2016). Sonification of hyperspectral fluorescence microscopy datasets. F1000Research. 5:2572, con licenza Creative Commons Attribution 4.0 International

    Frequentemente questi tre tipi di coni vengono definiti rispettivamente come coni per il blu, coni per il verde e coni per il rosso, facendo riferimento alla disposizione di questi tre colori lungo lo spettro cromatico della luce:

    • il blu si situa sulle lunghezze d’onda più brevi (S)
    • il verde sulle intermedie (M)
    • il rosso su quelle più lunghe (L).

    Sebbene la Figura 1 mostri come non vi sia un’esatta corrispondenza tra blu, verde e rosso e i picchi di assorbimento dei pigmenti contenuti dai tre tipi di coni, è molto conveniente immaginare che così come la combinazione tra una luce blu, una rossa e una verde dà origine a un quarto colore (diverso dai tre colori primari utilizzati), così i colori da noi percepiti derivano dalla risposta combinata dei tre tipi di coni.

    Si parla dunque di visione tricromatica e gli esseri umani possono essere normalmente definiti tricròmati.

    All’interno della retina l’informazione luminosa raccolta dai fotorecettori viene trasmessa, tramite le cellule bipolari, alle cellule gangliari retiniche, combinando l’input proveniente da diversi fotorecettori adiacenti.

    È già a questo livello che si assiste a un’elaborazione dell’informazione cromatica, con popolazioni cellulari che rispondono in maniera opposta alla stimolazione long e medium (contrasto rosso-verde) e altre popolazioni che rispondono in maniera opposta alla stimolazione medium-long e short (contrasto giallo-blu).

    Il nucleo genicolato laterale riceve poi tramite il nervo ottico, il chiasma ottico e il tratto ottico l’informazione, che si mantiene almeno in parte segregata:

    • l’informazione proveniente dai coni di tipo L e M arriva tramite cellule prevalentemente ai quattro strati parvocellulari dorsali;
    • l’informazione proveniente dai coni di tipo L e M viene trasmessa agli strati koniocellulari tramite le cellule bistratificate;
    • altre vie sono responsabili prevalentemente dell’informazione relativa al contrasto di luminanza, ma non al colore.

    Il segnale raggiunge dunque la corteccia visiva primaria (V1) nel lobo occipitale; qui alcune zone rispondono meglio a specifiche aree dello spettro luminoso, anche se questa risposta risulta notevolmente variabile a seconda della luminosità dello stimolo, e si possono individuare cellule deputate in particolare a rilevare il contrasto di tipo rosso-verde e giallo-blu.

    Questi circuiti non si mantengono del tutto paralleli, ma consentono il mescolamento dei sistemi rosso-verde e blu-giallo per produrre risposte al magenta (rosso e blu) o al ciano (verde e blu), ampliando il numero di contrasti cromatici rilevabili. L’elaborazione dell’informazione cromatica prosegue nelle aree V2, V3 e nell’area V4 estesa, combinandola con informazioni relative alla direzione e alla forma dello stimolo, al suo movimento, al linguaggio coinvolto nella denominazione del colore, etc.

    La visione dei colori è un complicato processo psicofisico: la sensazione finale relativa al colore che un soggetto ritiene di vedere non è determinata soltanto dalla stimolazione fisica dei fotorecettori della retina da parte della luce, ma a dai complessi meccanismi di elaborazione a livello retinico e corticale, influenzati anche dall’esperienza del soggetto stesso.

    Ad esempio, alcune popolazioni la cui vita è basata sulla raccolta di vegetali hanno elaborato particolari metodi di classificazione di sfumature di verde che consente loro di notare e catalogare differenze cromatiche che ad altri risulterebbero impercettibili.

    Anomalie nella visione dei colori

    Gli esseri umani possiedono normalmente tre differenti popolazioni di recettori deputati alla percezione del colore; oltre alle normali differenze interindividuali, può accadere che vi sia un alterato funzionamento a carico di una o più di queste popolazioni che impedisce la corretta rilevazione di una parte dello spettro visibile.

    Se il soggetto colpito mantiene una visione tricromatica ma i colori in una determinata banda devono essere presentati con intensità luminosa superiore alla norma per essere percepiti adeguatamente, si può parlare di tricromatismo anomalo, distinto in:

    • protanomalia, se il deficit maggiore si riscontra nella percezione delle lunghezze d’onda lunghe;
    • deuteranomalia, se il deficit maggiore si riscontra nella percezione delle lunghezze d’onda medie;
    • tritanopia, se il deficit maggiore si riscontra nella percezione delle lunghezze d’onda medie.

    Se è impedito il funzionamento di un’intera popolazione di coni, ad esempio perché il pigmento corrispondente non viene sintetizzato, la visione è dicromatica e la condizione corrispondente si può definire, in analogia ai casi precedenti:

    • protanopia;
    • deuteranopia;
    • tritanopia.

    Infine, se una sola classe di coni (tipicamente di tipo S) è funzionante si parla di visione monocromatica, con un quadro scarsamente distinguibile dalla visione acromatica, in cui gli unici recettori funzionanti rimangono i bastoncelli.

    Figura 2 - Simulazione dell'esperienza visiva
    Figura 2: simulazione dell’esperienza visiva di un soggetto con visione tricromatica normale, con protanopia, deuteranopia, tritanopia, visione mono- o acromatica, protanomalia, deuteranomalia e tritanomalia (procedendo dall’immagine in alto a sinistra a quella in basso a destra)
    Immagine tratta dal sito Coblis – Color Blindness Simulator

    La classificazione riportata è adatta soprattutto alla descrizione di quelle condizioni genetiche che alterano o impediscono la produzione dei pigmenti coinvolti nella normale risposta dei coni.

    Come già ricordato, i geni che codificano per il pigmento dei coni per il rosso e per il verde si trovano sul cromosoma X, rappresentato in un’unica copia negli individui di genere maschile che, pertanto, manifestano le alterazioni congenite di tipo protan- e deuteran- più frequentemente degli individui di genere femminile.

    La visione tricromatica anomala può avere manifestazioni diverse a seconda di quanto la curva di assorbimento del pigmento in questione si discosta rispetto alla normalità, potendo andare da quadri prossimi alla visione tricromatica normale, senza particolari conseguenze, a quadri molto vicini alla visione dicromatica.

    Per quanto riguarda le alterazioni acquisite della percezione cromatica, queste si possono riscontrare in una vasta gamma di patologie oculari, nervose e sistemiche, come conseguenza di intossicazioni o ancora come esito di traumi e tumori.

    Tra gli altri Verriest1 categorizza i deficit acquisiti della percezione cromatica per analogia con le alterazioni congenite e distinguendo:

    • I tipo (simil protanope o protanomalo), riscontrabile ad esempio nelle atrofie coroideali, nella malattia di Stargardt, nelle intossicazioni da atropina ed ergotamina;
    • II tipo (simil deuteranope o deuteranomalo), in varie disfunzioni del nervo ottico, nell’ambliopia tossica, nell’atrofia ottica, nella degenerazione corioretinica periferica, nella degenerazione coroideale miopica, nei distacchi regmatogeni di retina, nella retinopatia sierosa centrale e nella corioretiniti;
    • III tipo (simil tritanope o tritanomalo), di possibile riscontro assieme a papilledema, glaucoma, sclerosi multipla, intossicazioni da blu di metilene ed altre.

    Alcune lesioni corticali possono impedire totalmente il riconoscimento dei colori. Un altro fenomeno particolare che coinvolge la percezione cromatica è la sinestesia, con comparsa di una sensazione cromatica scatenata da una stimolazione non luminosa, come un suono.

    Test della sensibilità cromatica

    Le anomalie della sensibilità cromatica possono essere valutate tramite vari test a scopi diagnostici o per valutare la performance in relazione a specifici profili professionali.

    I test si possono classificare a seconda del compito richiesto al soggetto in esame:

    • test di equalizzazione, in cui si deve riprodurre un colore campione tramite un’opportuna miscela di fasci luminosi;
    • test di discriminazione, in cui si devono distinguere dei simboli inseriti in mosaici di punti di diverso colore;
    • denominazione o comparazione, in cui si devono riconoscere colori di oggetti colorati o luci, a volte abbinandoli a colori campione;
    • classificazione, in cui si deve produrre un corretto ordinamento cromatico di oggetti colorati.

    Anche test genetici, di elettrofisiologia oculare e l’esame della morfologia retinica (ad esempio tramite tomografia ottica computerizzata) possono essere utili per precisare la diagnosi e la classificazione del deficit rilevato.

    Storicamente e in ambito di ricerca sono state proposte diverse decine di test per la valutazione della sensibilità cromatica. Inoltre, dei test comunemente utilizzati in ambito clinico esistono diverse versioni con alcune variazioni dipendenti dal costruttore.

    I test che verranno presentati nel seguito vogliono solo dare un cenno su alcune delle tipologie di test esistenti.

    Tavole pseudoisocromatiche

    Ci sono molti test basati sulla presentazione di tavole pseudoisocromatiche in versione a stampa o digitale, solitamente in grado di individuare soprattutto alterazioni congenite della percezione cromatica lungo l’asse rosso-verde.

    Si tratta di tavole costituite da punti colorati alcuni dei quali sono disposti a formare numeri, lettere o simboli geometrici ed altri a costituire uno sfondo. Le tavole sono strutturate per differenziare tra i soggetti che, percependo normalmente i colori, individuano correttamente i simboli, e quelli con sensibilità alterata che non vedono i simboli presenti o, viceversa, vedono simboli che dovrebbero risultare nascosti (si veda ad esempio la Figura 3).

    Figura 3: tavola pseudoisocromatica tratta dal test di Ishihara (numero 74)
    Figura 3: in questa tavola pseudoisocromatica, tratta dal test di Ishihara, un soggetto con sensibilità cromatica normale dovrebbe riconoscere il numero 74 mentre soggetti con protanomalia o deuteranomalia potrebbero leggere il numero 21
    Immagine tratta dal sito Color Blindness

    Alcuni test, ad esempio l’American Optical Hardy-Rand-Rittler (Figura 4), valutano anche i deficit di tipo tritan e danno una stima del livello di compromissione della sensibilità cromatica.

    Fig 4 - Tavola pseudoisocromatica test di Hardy-Rand-Rittler
    Figura 4: esempio di tavola pseudoisocromatica tratta dal test  di Hardy-Rand-Rittler
    Immagine tratta da Alex Melamud, Stephanie Hagstrom & Elias Traboulsi (2004) Color vision testing, Ophthalmic Genetics, 25:3, 159-187

    Anomaloscopi

    Per dare un’idea del funzionamento degli anomaloscopi, poco diffusi in ambito clinico, ci si riferisce qui all’anomaloscopio di Nagel (modello I) e al molto simile Neitz OT; altri anomaloscopi hanno un funzionamento simile e si possono differenziare ad esempio per la varietà di stimoli cromatici di riferimento (es: anomaloscopio di Pickford-Nicolson).

    Lo stimolo osservato è costituito da un cerchio la cui metà inferiore è gialla (589 nm) e di luminosità regolabile e la metà superiore è colorata di una miscela di luce giallo-verde (545 nm) e rossa (679 nm) in proporzioni regolabili. Regolando la luminosità della metà inferiore del cerchio e la miscela di colori della metà superiore si chiede all’esaminato di confrontare le due metà. Se questi ritiene si sia ottenuta uguaglianza con valori fuori dalla norma e/o non si sia raggiunta l’uguaglianza con valori normali, si è in presenta di tricromatismo anomalo o di dicomatismo. L’ampiezza dell’intervallo in cui cadono le proporzioni di colore scelte dal soggetto e il loro valore medio consentono di indirizzare la diagnosi.

    Test delle lanterne

    I test delle lanterne consistono nella presentazione di luci con l’anteposizione di filtri differenti per colore (tipicamente nella gamma dei verdi, bianchi e rossi), luminosità e texture, o di corrispondenti stimoli riprodotti su monitor. Il soggetto è chiamato ad individuare e riconoscere correttamente gli stimoli presentati. Lo scopo di questi test, esistenti in varie versioni, è solitamente di valutare l’idoneità allo svolgimento di specifici compiti nei settori dei trasporti e delle forze armate.

    Test di classificazione

    I test di classificazione sono, introdotti negli anni ‘30 del 1900, esistono in molteplici versioni e sono molto diffusi sia nella loro versione tradizionale, con dischi colorati, sia nella versione digitale. Tra i più famosi ricordiamo il test dei 100 toni di Farnsworth (Figura 5), il Lanthony New Color Test, il test dei 28 toni di Roth, il test D-15 di Farnswort e il test desaturato D-15 di Lanthony.

    Figura 5: dischi colorati per l'esecuzione del test dei 100 toni di Farnsworth
    Figura 5: dischi colorati per l’esecuzione del test dei 100 toni di Farnsworth
    Immagine tratta da Farnsworth Munsell 100 HUE test

    In tutti i casi il soggetto esaminato è chiamato ad ordinare i tasselli colorati partendo da un colore di riferimento (talvolta arrivando a un secondo colore di riferimento). La tipologia di deficit viene determinata sulla base degli errori di disposizione; in particolare quando questi risultano polarizzati lungo un asse specifico possono consentire di indirizzare la diagnosi in maniera più specifica (Figura 6).

    Figura 6 - Possibili curve del test di Farnsworth-Munsell
    Figura 6: visualizzazione grafica delle possibili deviazioni delle risposte di soggetti con protanopia, deuteranopia e tritanopia rispetto alla normalità nell’esecuzione del test dei 100 toni di Farnsworth
    Immagine tratta da Prisma – Bollettino di aggiornamento dell’Associazione Italiana Ortottisti Assistenti in Oftalmologia – Anno 2008, n. 1, p. 17

    Conclusioni

    La percezione dei colori, che arricchisce enormemente di dettagli ciò che osserviamo, traduce le diverse lunghezze d’onda di cui si compone la luce visibile che raggiunge i nostri occhi in sensazioni differenti tramite un complesso meccanismo che include i fotorecettori ospitati nella retina, altre cellule retiniche, le vie visive fino alla corteccia occipitale e l’elaborazione a livello corticale dell’informazione cromatica.

    Talvolta questo meccanismo può funzionare in modo anomalo per cause congenite, spesso genetiche, o acquisite, compromettendo la capacità di distinguere normalmente alcuni colori o impedendo del tutto l’individuazione di alcune sfumature. Tramite alcuni test specifici è possibile individuare e classificare il deficit percettivo, consentendo ad esempio di ottenere elementi aggiuntivi per la diagnosi di alcune patologie, di indirizzare meglio la riabilitazione di soggetti ipovedenti con associata una difficoltà nella percezione cromatica e di valutare l’idoneità allo svolgimento di alcuni compiti che richiedono ottime capacità di discriminazione dei colori.

    Bibliografia essenziale

    1. Verriest G. Further studies on acquired deficiency of color discrimination. J Opt Soc Am 1963;53:185–95
    2. Alex Melamud, Stephanie Hagstrom & Elias Traboulsi (2004) Color vision testing, Ophthalmic Genetics, 25:3, 159-187 –
    3. Conway BR, Eskew RT Jr, Martin PR, Stockman A. (2018) A tour of contemporary color vision research, Vision Res, 151, 2-6
    4. Andrew Stockman (2019) Cone fundamentals and CIE standards, Current Opinion in Behavioral Sciences, 30, 87–93
    5. Stephen J Dain (2004) Clinical colour vision tests, Clin Exp Optom, 87:4-5, 276-293
    6. Samuel G. Solomon, Peter Lennie (2007) The machinery of colour vision, Nature Reviews Neuroscience, 8, 276-286
    7. Kaur K, Gurnani B. (2022) Revisiting Color vision standards and testing methods in various occupational groups, Indian J Ophthalmol, 70(1):329-331
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