Deficit visivo: come fare per riconoscerlo?
Traumi e lesioni possono compromettere l’informazione visiva generando un deficit visivo
I deficit centrali di campo visivo (conosciuti anche con l’acronimo: DCCV) altro non sono che alterazioni del nostro campo visivo. Una più che sostanziosa percentuale di pazienti cerebrolesi (fra il 45%-90%) 1 presenta un deficit visivo, in questi casi è di fondamentale importanza riuscire a ottenere una corretta diagnosi affinché si possano comprendere e inquadrare tutte le difficoltà a cui va incontro il paziente.
Avere ben a mente questi deficit e le problematiche a essi connessi risulta essere fondamentale in ottica di programmare un approccio riabilitativo o compensativo 2.
Curiosamente a una parte funzionale del campo visivo compromesso corrisponde spesso e volentieri una parte anatomica lesa: diversi tipi di alterazioni funzionali posso dare informazioni preziose sulla parte anatomica delle nostre vie ottiche compromesse, una individuazione della porzione con deficit anatomico più precisa, aiuterà il medico specialista nell’eventuale fase di riabilitazione neurovisiva.
Le zone anatomiche prese in considerazione quando parliamo di DCCV sono quelle che partono dal chiasma ottico alla corteccia visiva primaria (nello specifico: chiasma ottico, tratto ottico, nucleo genicolato laterale, radiazione ottica e corteccia visiva primaria).
Quali sono i tipi di deficit visivo?
- Deficit campo visivo generico: può riferirsi sia alla perdita del campo visivo centrale (lesioni o alterazioni dal chiasma ottico in poi) sia alla perdita del campo visivo periferico (alterazioni retiniche a carico del nervo ottico e della papilla ottica).
- Scotoma: deficit ben localizzato e definito di una porzione di campo visivo; possiamo avere uno scotoma relativo o assoluto. Curiosamente abbiamo uno scotoma (zona cieca) fisiologico che corrisponde alla zona retinica in cui abbiamo la nostra papilla ottica.
Come individuare il nostro punto cieco
Apprestiamoci a effettuare questo semplice e rapido test volto a individuare il punto cieco che ognuno di noi ha fisiologicamente. Partiamo con il coprire uno dei due occhi, ad esempio il sinistro; adesso concentratevi nell’osservare l’immagine sottostante (fig. 1); assicuratevi di essere a una distanza di circa 30 cm dallo schermo e iniziate a fissare la croce con il vostro occhio. Di fondamentale importanza è cercare di non fare movimenti con gli occhi.
Arrivati a questo punto iniziate ad avvicinarvi lentamente allo schermo; il pallino, situato alla destra dell’immagine inizia così a scomparire e riapparire a seconda dei vostri movimenti. La spiegazione di questa sorta di illusione ottica è data dal meccanismo di elaborazione dell’immagine che avviene nella corteccia visiva: quando il pallino entra nel punto cieco dell’occhio destro, il nostro cervello sfrutta l’area circostante (che nel caso dell’immagine a cui facciamo riferimento è bianca) per andare a compensare le informazioni visive mancanti. Questo semplice test può essere approcciato con entrambi gli occhi.
Se vuoi approfondire il tema del punto cieco ti consigliamo di guardare il video di Sara Cosenza.
Abbiamo affrontato molti concetti riguardo lo studio del campo visivo, sia in termini funzionali che anatomici; per quanto questi aspetti base siano molto facili da comprendere e da testare (vedi test per individuare il punto cieco) non possiamo dire altrettanto quando si parla della totale comprensione delle funzioni neurovisive poiché c’è ancora molto da fare e scoprire sulle varie tipologie di deficit visivi.
Una problematica di grande complessità
Questa complessità è dovuta proprio al fatto che le persone che incorrono in un deficit visivo maturano bisogni molto diversi tra loro, quest’ultimi dipendono infatti da svariati fattori come ad esempio:
- l’età;
- l’eventuale presenza di una capacità visiva residua;
- le condizioni personali e sociali;
- la presenza di altre patologie associate alla disabilità visiva.
Altra complicanza che generalmente si associa a chi incorre in questo tipo di problematica consiste in una serie ripercussioni sul proprio benessere psicologico e sociale. Si cerca quindi di intervenire cercando di sviluppare le altre capacità della persona, rendendola in questo modo maggiormente autosufficiente e andando a compensare così tutte quelle limitazioni che rischiavano di ledere all’autonomia dell’individuo.
Possiamo suddividere idealmente due classi:
- non vedenti;
- ipovedenti: chi possiede capacità visive ridotte ma presenti; esistono varie situazioni che possono portare a ipovisione e tutte queste differiscono in base alla patologia scatenante e al suo livello di gravità.
Esiste una differenza ulteriore tra chi è cieco o ipovedente dalla nascita e chi invece ha acquisito questa condizione con il passare del tempo. L’assenza della vista va infatti a condizionare un ritardo transitorio (destinato quindi a sparire nell’età dell’adolescenza) nello sviluppo di alcune funzioni, come ad esempio l’orientamento nello spazio.
Altro elemento da considerare risiede nell’analisi della condizione del paziente: se manifesta esclusivamente un deficit visivo puro oppure se quest’ultimo rappresenta soltanto una delle varie problematiche della persona. Distinzione fondamentale perché permette di delineare il quadro del paziente, fornendo utili indicazioni sul modo in cui il soggetto può attuare una compensazione mediante le altre sue facoltà sensoriali.
Fortunatamente giorno dopo giorno la comunità scientifica acquista sempre più informazioni nel campo della neurovisione e della riabilitazione neurovisiva; questo sta già aiutando e aiuterà ulteriormente le attuali e le prossime generazioni a vivere una vita non solo duratura ma che abbia anche una qualità intrinseca e della visione maggiore rispetto al passato.
Bibliografia
- Deficit centrali di campo visivo | Ottobre 2015 | Roberto Facchin, Roberta Daini
- Ibid.
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